Eviterò qui di affrontare gli aspetti etici, antropologici e psicologici del segregazionismo che l'idea in questione implicitamente postula. Mi limiterò a quelli implementativi, onde evidenziare da subito che, nonostante l'indiscutibile appeal (la fantasia proibita di recludere e buttare via la chiave fa sempre molti proseliti in questo Paese), l'ideona non si può proprio attuare. Quantomeno non nella sua accezione piena, l’unica potenzialmente efficace. Partiamo dai problemi spicci: come vogliamo fissare l'età oltre la quale, volenti o nolenti, si entra a far parte dello sventurato novero dei segregati? Si potrebbe forse optare per quella pensionabile, come asserisce il tweet di Toti. Grazie a quota 100 essa potrebbe però risultare più bassa di quanto gli stessi fautori dell'apartheid anagrafico si aspettino. Nei giorni immediatamente precedenti la totiana esternazione qualcuno aveva addirittura parlato di over 50, perché i dati sul SARS-CoV-2 mostrano un'impennata della letalità del virus tra i soggetti appartenenti proprio a quella fascia di età. C'è però un piccolo problema: se mettiamo in lockdown gli over 50, smette all'improvviso di lavorare la metà del Paese. Con buona pace della salvaguardia del PIL, annessi e connessi. Anche perché - signora mia, chi me li tiene poi i bambini mentre io sono al lavoro? - nella scuola italiana un insegnante su tre ha più di cinquantacinque anni. Over 70? A casa dunque (per limitarsi a qualche esempio eclatante nel solo ambito politico, la lista sarebbe altrimenti sterminata) Mattarella e una lauta frotta di senatori, in ispecie tutti quelli a vita ad eccetto della Cattaneo (curiosa coincidenza, direte: non saremo mica di fronte a un piano del centrodestra per sbilanciare la composizione del Senato in favore dell'opposizione?). Il problema non ammette soluzione, ogni soglia rappresenterebbe un arbitrio e una speciale forma di discriminazione.
Scoglio ben più arduo e' poi rappresentato dal come realizzare l'isolamento degli anziani nella pratica quotidiana del vivere civile. A questo proposito mi sentirei di individuare, tra quelle segregazioniste, due concezioni dominanti e a loro insaputa distinte. La prima raffigura la comunità delle persone di terza età come una macro-bolla, collettivamente separabile dal resto della società civile tramite l'applicazione di strumenti idonei all'uopo. Sarebbe un esercizio assai divertente riportare qui di seguito il catalogo delle trovate che i macrobollisti hanno sciorinato per spiegarci come bisognerebbe procedere in tale senso. Purtroppo tale catalogo, oltre ad essere fantasmagorico e financo smodato, eccede per lunghezza quello assai più' celebre redatto da Leporello nel Don Giovanni, al punto da costringerci a rinunciare al piacere di passarlo esaustivamente in rassegna. Esso comprende orari differenziati per negozi e supermercati, mezzi di trasporto pubblici dedicati all'una o all'altra fascia di età con orari specifici, corsie "preferenziali" (qualunque cosa esse siano nella mente di chi ne ha partorito il concetto), sale separate nei ristoranti e nei bar (sic). Su questa falsariga, In un breve volgere di tempo dall'entrata in vigore della legge segregazionista, qualche zelante esercente sprovvisto degli spazi necessari per realizzare la separazione potrebbe finire con l'esporre avvisi del tipo "In questo locale non sono ammessi gli anziani", in assoluta buona fede e in ineccepibile ottemperanza alle norme vigenti. Analogo avviso verrebbe affisso all'entrata di autobus, treni e altri mezzi riservati a studenti e lavoratori. Si potrebbe poi approfittare del venturo referendum europeo sull'abrogazione dell'ora legale (primavera 2021) per introdurre due fasce orarie parallele, una solare per i cittadini produttivi e una legale per quelli inservibili, onde sfasare le abitudini delle due popolazioni e ridurre la calca in quelle che, per i primi, sarebbero le ore di punta. Va da sé che le succitate "corsie preferenziali", prese una ad una, ove mai fossero singolarmente attuabili e una volta concretamente attuate potrebbero sì concorrere a limitare l'impatto della pandemia sui più fragili. Risulta invece irrealizzabile (oltre che indesiderabile) la pretesa di attuarle tutte, simultaneamente, al punto da dare complessivamente luogo a un intero mondo parallelo e incontaminato, fatto a uso e consumo degli anziani e sostanzialmente disgiunto da quello ordinario.
La seconda scuola di pensiero sul come attuare la separazione chirurgica delle due popolazioni ruota invece attorno all'idea implicita di micro-bolla: ogni anziano, individualmente, dovrebbe starsene sostanzialmente internato nella propria casa, o addirittura nella propria camera se altre persone (giovani o vecchie) si trovassero a vivere nella sua stessa abitazione. Per la durata del lockdown, secondo i microbollisti, i vecchietti e le vecchiarelle non potrebbero mettere il naso fuori dalla porta. Qualcuno (non meglio specificato) si incaricherebbe di portare loro la spesa a domicilio e di prelevare e smaltire i sacchi con la loro immondizia. I segregati muniti di animali domestici potrebbero comodamente parcheggiarli presso qualche pensione per cani e gatti, contribuendo così a far girare anche un po' l'economia. Resta solo da auspicare che, nel frattempo, ai reclusi non si renda necessario avvalersi di servizi ospedalieri. altrimenti si salvi chi può. Lascio alla fervida immaginazione dei miei lettori più sadici l’escogitazione di dispositivi più o meno polizieschi atti a vigilare sul rispetto del regime di segregazione da parte degli interessati, nonché di sanzioni congruamente cruente in caso di infrazione dello stesso. Va infine rilevato che questa seconda forma di apartheid assomiglia di più all'autoisolamento che molte persone fragili già attuano spontaneamente per prevenire la propria esposizione al SARS-CoV-2. Con tutto che, a differenza dell'utopia microbollista, l'autoisoamento lo si sceglie liberamente, lo si autoregolamenta compatibilmente con le proprie specifiche esigenze e con la propria struttura psichica, e in ogni momento può essere interrotto, naturalmente nel rispetto del DPCM vigente in quel certo momento.
Al di là' di tutto questo, c'è un fondamentale motivo che rende impraticabili tanto la teoria della macro-bolla quanto quella della micro-bolla. Con l'isolamento degli anziani il virus circolerebbe infatti liberamente (o quasi) nella componente complementare della società civile, quella produttiva per intenderci, portando ad una crescita esponenziale e incontrollata del numero di individui positivi, pur rimanendo contenuta la frazione di questi ultimi destinata a tradursi in casi gravi. Gli anziani sarebbero dunque costretti a un distanziamento sociale rigorosissimo, anche e soprattutto dai propri cari, per l'intera durata del lockdown differenziato, pena la repentina contaminazione massiva della bolla. Ma per quanto tempo ci si immagina possa durare un siffatto lockdown? I teorici del segregazionismo, come purtroppo moltissimi di noi, si immaginano astrattamente il prossimo possibile lockdown (universale o differenziato) alla stregua di quello della primavera scorsa, un periodo circoscritto e tutto sommato breve al termine del quale esclamare esultanti "tana libera tutti!". E qui si annida l'errore capitale di micro- e macro-bollisti, perché il virus è tutt'attorno a noi, nell'universo mondo, e lo sarà ancora per un altro anno almeno, forse due, forse diverrà endemico e non si arriverà mai a immunizzare l'umanità intera. E la bolla dei vecchi diverrebbe, come nella trita distopia immaginata da un qualche narratore di fantascienza, un luogo altro e remoto in cui nel giorno del proprio settantesimo compleanno (o di un altro compleanno fissato ad arbitrio del legislatore) ciascuno sarebbe destinato a trasmigrare per non tornarne mai più. Ma solo se italiano.
(Fotografia di Alessandra Daprà, 2020)