Non mi sentirei di escludere che, in un futuro forse lontano (ma forse non tanto quanto si ami pensare), allorquando milioni, bilioni, e forse trilioni di container di merci cinesi, una volta perseverantemente percorsa la Via della Seta, dovessero iniziare ad accatastarsi con allarmante lestezza sulle banchine del porto di Genova, qualcuno potesse persino arrivare a pensare che per distribuire quelle merci in Europa sarebbe, tutto sommato, una buona idea il fare un tunnel ferroviario ad alta velocità che collegasse il nord-ovest d’Italia con l’Oltralpe. Previa analisi costi-benefici, si intende.
A circa due mesi dall'accordo UE sul "recovery fund", diradatisi ormai i fumi della conseguente sbornia (allegra per alcuni e triste per altri, come sempre accade) e nella lunga attesa che se ne veda la concretizzazione sonante, converrà concentrarsi sul meccanismo europeo di stabilità (MES), già fondo salva-stati. Se il dibattito attorno al "recovery fund" sarà il tormentone del nostro autunno post-elettorale, quello sul MES sarà infatti quantomeno un tormentino. Del MES si è sentito parlare moltissimo sin dall'insorgere della pandemia, quasi sempre a vanvera, con toni contrastanti ma altrettanto ideologizzati da parte delle avverse fazioni politiche. Per capirci qualcosa è necessario chiedersi cosa esattamente esso sia, a quali reali condizioni esso sia erogato, quale ne sia l'effettiva entità, e se l'accedervi sia o meno conveniente all'interesse del Paese. In seconda battuta è opportuno anche (e soprattutto) chiedersi quali siano le vere mot