Lontano dai riflettori mediatici, incessantemente puntati su Xi Jinping accolto in pompa magna dalle nostre massime Istituzioni al suono melodioso ma non troppo della voce di Andrea Bocelli di cui il Quirinale tutto e’ riverberato, nella pur (nel suo piccolo) sontuosa sede romana dell’ANSA e’ stato oggi siglato un altro accordo italo-cinese di portata non necessariamente inferiore a quella del tanto strombazzato protocollo d’intesa sulla Via della Seta. L’accordo prevede, in particolare, la diffusione da parte dell’italica Agenzia Nazionale della Stampa Associata (cooperativa di cui sono soci gli editori di quasi tutte le grandi testate, da Repubblica al Corriere, dalla Stampa al Giornale, ecc.), attraverso tutte le “proprie” testate, cartacee e multimediali, delle notizie provenienti dalla Cina redatte in lingua italiana e diffuse dalla Xinhua (Agenzia Nuova Cina), la principale agenzia di stampa cinese, naturalmente soggetta per costituzione al diretto controllo da parte del consiglio di stato della Repubblica Popolare. Se già l’ANSA formava la spina dorsale di una galassia giornalistica italiota sulla cui indipendenza, originalità e terzietà c'era sovente molto su cui interrogarsi, con l’accordo di oggi si apre per essa il sipario su uno scenario dominato, quasi per definizione, dall’informazione di regime. Con esso, la progressiva cinesizzazione a cui da inizio millennio siamo soggetti appare più che mai a un passo dal compiersi. Non mi sorprendono le parole di Cai Ming Zhao, presidente della Xinhua, che tradiscono la concezione cinese del ruolo dei media: "noi giornalisti abbiamo la responsabilità di costruire piattaforme più ampie per contribuire allo sviluppo economico dei due Paesi" (ansa.it del 23 marzo 2019) . Resto invece letteralmente allibito dalla replica dell'amministratore delegato dell'ANSA, Stefano De Alessandri, a valle dell’incontro romano: “Siamo sicuri che questa collaborazione costituirà un fondamentale supporto allo sviluppo dell'export italiano e all'internazionalizzazione del nostro sistema produttivo” (ibidem). Se ne evince che a nessuno di questi signori dell’informazione passa nemmeno per l’anticamera del cervello che lo scopo dei giornali possa essere quello di informare dei fatti l’opinione pubblica perché questa possa avere davvero un’opinione: quello che conta e’, per dirla volgarmente, far girare l’economia a qualunque costo, in primis quello del sacrificio dell’informazione libera quandunque opportuno.
Circola in questi giorni l'idea di mettere in lockdown solo gli anziani, per il bene loro e soprattutto del Paese. Essa è stata perorata fino all'ultimo da alcune Regioni sedute al tavolo di lavoro sul DPCM emergenziale recentemente emanato da Giuseppe Conte. Il tweet battuto in proposito dal presidente della Liguria Giovanni Toti, tweet disperatamente rettificato dallo stesso Toti nelle ore successive alla sua pubblicazione e imputato a un errore di un collaboratore, a me pare almeno intellettualmente onesto: esso, tra l'altro, definisce gli anziani "persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese (...)". Finché c’è il virus, insomma, i vecchi vengano costretti in casa. Chi lavora, invece, continui a produrre ricchezza come se la pandemia manco ci fosse (e, magari, tutti a farsi uno spritz prima di cena). Il tweet ha i meriti di essere terrificamente candido e di non abusare della retorica del "per il loro bene" che h