Tra i tanti e variamente discutibili provvedimenti previsti dal sedicente Decreto Crescita, fresco di approvazione da parte del nostro beneamato Consiglio dei Ministri, provvedimenti tra i quali spiccano
(1) l’accollamento a tutti noi del mostruoso debito della città di Roma, così tutti potremo contribuire alla maggior gloria della sindaca Raggi ritrovandoci però un pochino più poveri, e
(2) il definitivo rafforzamento della posizione del Tesoro nel variopinto pool di azionisti di Alitalia (ma non si doveva chiamare CAI?), onde non farci mancare la perpetuazione di una delle più scandalose cagioni di quell’autentica emorragia di denari pubblici a beneficio della (si fa per dire) ex compagnia di bandiera che ci affligge e ci affliggerà da sempre e per sempre,
tra cotali e cotanti provvedimenti, come dicevo, fa capolino - quasi in sordina - il rilancio del cosiddetto “progetto Cervelli”. A molti anni di distanza dalla sua istituzione (la sua parabola ha attraversato governi di ogni forma e colore) non mi è ancora riuscito di capire esattamente in cosa consista un siffatto “progetto”, anzi: non mi è nemmeno chiaro perché mai sia invalso l’uso della parola “progetto” per definire un finanziamento macilento, rivelatosi assai sterile nelle sue conseguenze sistemiche e per giunta erogato con irregolarità, a spot, apparentemente in mera funzione dei capricci propagandistici del governanti di turno. Riassumo brevemente la situazione per i non addetti ai lavori: i copiosi emuli di Einstein (da qui in avanti, i Cervelli) formatisi nelle patrie accademie, non trovando adeguato arruolamento in queste ultime in quanto surclassati dalle orde di incapaci ma raccomandatissimi nipoti dei famigerati Baroni universitari (una delle categorie più maltollerate dal popolo, che conviene dunque menare a dritta e a manca se si vuole acquisire consenso elettorale), sono costretti ad emigrare (“fuga dei Cervelli”, o diaspora accademica) verso più miti, stranieri lidi. Da qui l’esigenza, di tanto in tanto, di creare e finanziare (“progetto Cervelli”) canali privilegiati di rientro dei Cervelli medesimi a casa loro, operazione rimpatrio che, nemmeno a farlo apposta, oggigiorno si coniuga magnificamente con il pensiero politico sovranista dominante. Gli assiomi palesi di questa operazione sono, naturalmente, che i novelli emuli di Einstein - scusate, i Cervelli - siano bramosissimi di abbandonare Paesi perlopiù civili, dove godono di inquadramenti professionali ambitissimi e ben pagati, pur di rientrare a servire la patria, che intanto sta colando a picco, in cambio dello stipendiuccio inadeguato che viene corrisposto in Italia a docenti e studiosi di ogni ordine e grado (non siamo mica all’Alitalia). L’assioma sottaciuto, invece, è che con lo stanziamento di due spiccioli e con un’azione non strutturale il governo di turno possa vantarsi di avere fatto sostanziosi e lungimiranti investimenti in università e ricerca, senza però avere per questo ingrassato né i vili Baroni né il loro degno nipotame.
Il Decreto Crescita dovrà ora passare all’approvazione da parte delle Camere, dopodiché bisognerà attendere che il Ministero competente (il MIUR) emani le necessarie circolari attuative, senza le quali è davvero impossibile dire se e come funzionerà questo giro di gioco dell’Oca. In ogni caso, non se ne vedrà l’eventuale realizzazione prima di molti mesi; e saremo, allora, ben oltre la scadenza delle Europee - che è quella che davvero interessa ai pupari gialloverdi. Alcune conclusioni, di carattere generale, si possono però già trarre: innanzitutto, bisognerebbe smetterla con l’esterofilia tipica del Belpaese, per cui (in questo caso) l’essere ricercatori in qualche posto esotico, qualunque esso sia purchè fuori dai confini nazionali, rappresenti intrinsecamente un plus rispetto all’essere attivi in Italia. Soprattutto, bisognerebbe poi smettere di lavorare attorno all'idea di creare canali preferenziali per il rientro dei Cervelli, assicurando piuttosto modalità di reclutamento e progressione di carriera che fossero trasparenti e al passo con gli standard dei paesi dotati di un sistema avanzato della ricerca. Bisognerebbe, infine, assicurare livelli salariali parimenti competitivi rispetto a quelli, in modo da attrarre realmente i veri Cervelli al rimpatrio, e in modo da offrire altresì il giusto compenso a coloro che, pur non essendo Cervelli, già operano con preparazione, professionalità e dedizione nel nostro sistema universitario, un sistema che ha il più alto tasso di pubblicazioni scientifiche internazionali rispetto all’esilità dei finanziamenti, un sistema che prepara i nostri studenti a livelli sufficientemente alti rispetto alla media internazionale da rendere, paradossalmente, possibile ciò che altrimenti non lo sarebbe: la fuga dei dottori di ricerca italiani verso posti di lavoro esteri assai ambiti dagli stessi figli di quelle Patrie lontane verso cui i nostri Cervelli fluiscono, e che questi - non quelli - riescono qualificatamente ad aggiudicarsi.
(1) l’accollamento a tutti noi del mostruoso debito della città di Roma, così tutti potremo contribuire alla maggior gloria della sindaca Raggi ritrovandoci però un pochino più poveri, e
(2) il definitivo rafforzamento della posizione del Tesoro nel variopinto pool di azionisti di Alitalia (ma non si doveva chiamare CAI?), onde non farci mancare la perpetuazione di una delle più scandalose cagioni di quell’autentica emorragia di denari pubblici a beneficio della (si fa per dire) ex compagnia di bandiera che ci affligge e ci affliggerà da sempre e per sempre,
tra cotali e cotanti provvedimenti, come dicevo, fa capolino - quasi in sordina - il rilancio del cosiddetto “progetto Cervelli”. A molti anni di distanza dalla sua istituzione (la sua parabola ha attraversato governi di ogni forma e colore) non mi è ancora riuscito di capire esattamente in cosa consista un siffatto “progetto”, anzi: non mi è nemmeno chiaro perché mai sia invalso l’uso della parola “progetto” per definire un finanziamento macilento, rivelatosi assai sterile nelle sue conseguenze sistemiche e per giunta erogato con irregolarità, a spot, apparentemente in mera funzione dei capricci propagandistici del governanti di turno. Riassumo brevemente la situazione per i non addetti ai lavori: i copiosi emuli di Einstein (da qui in avanti, i Cervelli) formatisi nelle patrie accademie, non trovando adeguato arruolamento in queste ultime in quanto surclassati dalle orde di incapaci ma raccomandatissimi nipoti dei famigerati Baroni universitari (una delle categorie più maltollerate dal popolo, che conviene dunque menare a dritta e a manca se si vuole acquisire consenso elettorale), sono costretti ad emigrare (“fuga dei Cervelli”, o diaspora accademica) verso più miti, stranieri lidi. Da qui l’esigenza, di tanto in tanto, di creare e finanziare (“progetto Cervelli”) canali privilegiati di rientro dei Cervelli medesimi a casa loro, operazione rimpatrio che, nemmeno a farlo apposta, oggigiorno si coniuga magnificamente con il pensiero politico sovranista dominante. Gli assiomi palesi di questa operazione sono, naturalmente, che i novelli emuli di Einstein - scusate, i Cervelli - siano bramosissimi di abbandonare Paesi perlopiù civili, dove godono di inquadramenti professionali ambitissimi e ben pagati, pur di rientrare a servire la patria, che intanto sta colando a picco, in cambio dello stipendiuccio inadeguato che viene corrisposto in Italia a docenti e studiosi di ogni ordine e grado (non siamo mica all’Alitalia). L’assioma sottaciuto, invece, è che con lo stanziamento di due spiccioli e con un’azione non strutturale il governo di turno possa vantarsi di avere fatto sostanziosi e lungimiranti investimenti in università e ricerca, senza però avere per questo ingrassato né i vili Baroni né il loro degno nipotame.
Il Decreto Crescita dovrà ora passare all’approvazione da parte delle Camere, dopodiché bisognerà attendere che il Ministero competente (il MIUR) emani le necessarie circolari attuative, senza le quali è davvero impossibile dire se e come funzionerà questo giro di gioco dell’Oca. In ogni caso, non se ne vedrà l’eventuale realizzazione prima di molti mesi; e saremo, allora, ben oltre la scadenza delle Europee - che è quella che davvero interessa ai pupari gialloverdi. Alcune conclusioni, di carattere generale, si possono però già trarre: innanzitutto, bisognerebbe smetterla con l’esterofilia tipica del Belpaese, per cui (in questo caso) l’essere ricercatori in qualche posto esotico, qualunque esso sia purchè fuori dai confini nazionali, rappresenti intrinsecamente un plus rispetto all’essere attivi in Italia. Soprattutto, bisognerebbe poi smettere di lavorare attorno all'idea di creare canali preferenziali per il rientro dei Cervelli, assicurando piuttosto modalità di reclutamento e progressione di carriera che fossero trasparenti e al passo con gli standard dei paesi dotati di un sistema avanzato della ricerca. Bisognerebbe, infine, assicurare livelli salariali parimenti competitivi rispetto a quelli, in modo da attrarre realmente i veri Cervelli al rimpatrio, e in modo da offrire altresì il giusto compenso a coloro che, pur non essendo Cervelli, già operano con preparazione, professionalità e dedizione nel nostro sistema universitario, un sistema che ha il più alto tasso di pubblicazioni scientifiche internazionali rispetto all’esilità dei finanziamenti, un sistema che prepara i nostri studenti a livelli sufficientemente alti rispetto alla media internazionale da rendere, paradossalmente, possibile ciò che altrimenti non lo sarebbe: la fuga dei dottori di ricerca italiani verso posti di lavoro esteri assai ambiti dagli stessi figli di quelle Patrie lontane verso cui i nostri Cervelli fluiscono, e che questi - non quelli - riescono qualificatamente ad aggiudicarsi.