Del MES si è sentito parlare moltissimo sin dall'insorgere della pandemia, quasi sempre a vanvera, con toni contrastanti ma altrettanto ideologizzati da parte delle avverse fazioni politiche. Per capirci qualcosa è necessario chiedersi cosa esattamente esso sia, a quali reali condizioni esso sia erogato, quale ne sia l'effettiva entità, e se l'accedervi sia o meno conveniente all'interesse del Paese. In seconda battuta è opportuno anche (e soprattutto) chiedersi quali siano le vere motivazioni che spingono le diverse forze politiche a caldeggiare o osteggiare l'avvio delle pratiche per la richiesta di accesso alla linea di credito in questione, perché niente è come sembra (vale a dire: tutto è come sembra e anzi peggio, se siete pessimisti come me).
Cos'è il MES, ovvero: si dice MES ma è la ECCL, bellezza!
Vale innanzitutto la pena ricordare che il MES è una società lussemburghese attraverso la quale i Paesi dell'Eurozona costituirono, tra il 2010 e il 2011, l'organizzazione internazionale preposta all'assistenza finanziaria dei suoi Stati membri qualora questi, accettando di rispettare un ventaglio di condizionalità rigorose, ne avessero fatto richiesta. Per concorrere a costituire il capitale gestito dal MES ogni Stato membro partecipò in proporzione al proprio PIL 2010. L'Italia (governo Berlusconi IV) concorse all'epoca con un capitale di poco superiore ai 14 miliardi di Euro.
Il "MES" che sta tenendo banco in tempo di COVID-19 non è però questo, bensì la Enhanced Conditions Credit Line (ECCL) del MES, creata dall'Eurogruppo il 9 Aprile 2020 in risposta all'emergenza economica causata dalla pandemia e su espressa sollecitazione proprio dell'Italia. Per mettere nella giusta prospettiva lo stesso atto fondativo della ECCL va dunque tenuto presente che l'Eurogruppo altro non è se non l'organismo che riunisce i ministri delle finanze degli Stati dell'Eurozona, incluso quindi il nostro attuale Ministro dell'Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri. La ECCL è stata poi ratificata il 23 Aprile scorso dal Consiglio Europeo (costituito dai capi di governo e di stato degli Stati membri dell'UE, incluso naturalmente Giuseppe Conte) che ne ha definito i termini, termini approvati un paio di settimane dopo (l'8 maggio) dall'Eurogruppo che, espletate le necessarie procedure nazionali all'interno dei singoli Stati membri, lo ha reso operativo il 15 maggio con il nome di ESM Pandemic Crisis Support, fissandone e pubblicandone definitivamente le regole, gli importi, le modalità di erogazione e le relative scadenze. Tutto insomma è pubblico, cristallino e noto urbi et orbi da almeno cinque mesi, ed è consultabile da chiunque in qualunque momento sul sito web ufficiale del MES. Andare alle fonti è sempre un buon esercizio onde scongiurare il rischio, costantemente in agguato, di cadere nelle trappole narrative di politici ideologizzati (o, altrettanto frequentemente, ignoranti) e di media scarsamente interessati alla nobile ricerca della verità.
Come funziona la ECCL (ivi inclusi il suo ammontare e le sue famigerate condizionalità)
Dalla lettura del regolamento sul sito del MES si evincono incontrovertibilmente i seguenti fatti, che non sono oggetto di dibattito alcuno né di sospetto (in quanto definitivi e non soggetti a modifiche in corso d'opera). Esiste ed è già disponibile la ECCL, per un ammontare complessivo di 240 miliardi di euro. Ogni Stato membro può richiedere un credito fino a un massimo pari al 2% del proprio PIL 2019. Poiché il PIL italiano a fine 2019 è risultato essere di 1.787,7 miliardi (dati https://grafici.altervista.org/prodotto-interno-lordo-e-debito-pubblico-lordo-in-italia/) se ne evince che il nostro Paese può richiedere al MES fino a 35,754 miliardi di euro attraverso la ECCL, un importo impressionante (più di un'intera finanziaria) anche se non già i 37 miliardi di cui amano favoleggiare molti media, come se un miliardo e duecento milioni fossero noccioline. L'unica precondizione richiesta è che il credito venga utilizzato per coprire spese sanitarie dirette o indirette legate alla pandemia da SARS-CoV-2. La verifica di questo prerequisito avviene tramite la presentazione, da parte del Paese richiedente, di un piano di interventi che rientri in detti ambiti, piano che deve essere naturalmente approvato dal Board di governo del MES. L'esigenza da parte del MES di procedere a questo iter di approvazione del piano e, a posteriori, di verificare che il credito erogato sia stato effettivamente speso a copertura degli interventi pattuiti, dovrebbe risultare cosa ovvia e naturale anche al sovranista più intransigente. Agli occhi di questi, però, essa appare come un'indebita ingerenza, un inaccettabile vincolo restrittivo alla sovrana autodeterminazione delle patrie politiche.
C'è una seconda precondizione da soddisfare per potersi candidare all'accesso alla ECCL, ossia il dimostrarsi economicamente affidabili, in modo tale da garantire la solvenza del debitore. E qui, a dispetto dei rating quasi-spazzatura (BBB/BBB-) dei nostri titoli di Stato, a dispetto del nostro debito pubblico da capogiro e del preoccupante andazzo del nostro rapporto deficit/PIL, l'Europa si è ancora una volta dimostrata capace di un piccolo capolavoro togliendoci anticipatamente d'impaccio: la Commissione Europea, avvalendosi del contributo di BCE e BEI, si è infatti fatta garante davanti al MES della solvenza di tutti i Paesi dell'Eurozona, incluso il nostro. Grazie a questo, in definitiva, di fronte al MES la seconda precondizione è per l’Italia già rispettata. Deliberatamente non toccherò qui due temi a latere come la seniority del MES e lo early warning system perché sono meccanismi molto comuni e sostanzialmente ininfluenti ai fini di una ragionevole analisi costi-benefici della ECCL.
La procedura di attivazione della linea di credito da parte del MES, una volta fattane richiesta, ha una durata di due settimane, trascorse le quali il Paese richiedente può avere accesso immediato (in qualsiasi momento) al prestito. In pratica i soldi sono disponibili subito e tali rimangono per i due anni successivi, dopodiché la ECCL cesserà di esistere e il MES continuerà sì a mettere a disposizione dell'Eurozona i suoi cospicui fondi, ma alle inevitabili condizioni ordinarie e forti che conoscevamo prima della pandemia. Va sottolineato come la richiesta di attivazione della ECCL e l'effettiva richiesta di accesso al credito siano due cose distinte: un Paese può procedere alla prima, in modo da sondarne la praticabilità e ottenerne eventualmente l'autorizzazione da parte del MES, senza però poi attingere al credito concessogli. L'accesso a quest’ultimo potrebbe invece avvenire solo in un secondo momento, qualora le mutate condizioni epidemiologiche o economiche lo rendessero necessario. La ECCL funzionerebbe come una sorta di polizza assicurativa, polizza che però non potrà più essere sottoscritta a decorrere dalla fine del 2022, visto il suo carattere transitorio.
C'è infine una clausola sibillina in coda al regolamento della ECCL, una clausola che in sé è ovvia e ridondante ma che il MES, conoscendo i suoi polli, ha giustamente pensato di ribadire, mettendola nero su bianco: il Paese che dovesse chiedere e ottenere un prestito dalla ECCL sarebbe poi tenuto a rispettare i parametri finanziari e fiscali già a suo tempo liberamente concordati con la UE (ad esempio, il malaccetto tetto vigente sullo scostamento di bilancio), in armonia con le decisioni prese dalle preposte istituzioni europee anche in materia di flessibilità (come sta accadendo a seguito della pandemia) e assoggettandosi alla surveillance dei competenti organi di controllo. Questa clausola, che si traduce nel semplice (e dovuto) rispetto degli accordi internazionali presi, è goffamente o pretestuosamente riguardata dai no-MES come un'ulteriore condizione (se non addirittura come un'ingerenza vera e propria) e finisce, subliminalmente, con l'avere un peso politico non trascurabile.
Una cosa così ovvia che sembra essere sfuggita a (quasi) tutti
Un'altra cosa di per sé evidente che credo vada però ponderata (non avendo io avuto la fortuna di trovarne traccia, ad oggi, nemmeno negli angoli più reconditi dei media) è la seguente: il Paese che avviasse le procedure per accedere alla ECCL non dovrebbe poi necessariamente richiedere prestiti pari al massimo dell'importo consentito dal MES (i quasi 36 miliardi di cui sopra, nel caso dell'Italia). Esso potrebbe limitarsi a chiedere un credito di entità anche decisamente inferiore. Non è una cosa di poco conto: da un lato questo consentirebbe di sgonfiare lo scontro ideologico in corso nell'attuale maggioranza, dall'altra renderebbe più realistico per il Conte e i suoi altrettanto inefficienti viscontini lo stilare un piano di interventi sanitari che, pur di portata limitata, risultasse credibile e concreto.
Una questione di interessi: all'Italia converrebbe richiedere il credito ECCL dal MES?
La risposta alla domanda è: assolutamente sì, pur con la consapevolezza che la ECCL (come ogni altra forma di credito attualmente accessibile al Belpaese) andrebbe ad aumentare ulteriormente il debito pubblico in misura dell'entità dell'intervento richiesto, e che il prestito andrebbe poi restituito con i dovuti interessi. La finestra temporale per la restituzione sarebbe però di lungo termine (dieci anni, esattamente la durata dei più popolari tra i titoli di stato). Il tasso di interesse della ECCL è fissato dal MES allo 0.1% annuo, cui vanno aggiunti una commissione annuale di servizio pari allo 0.005% e un costo di adesione iniziale una tantum dello 0.25%, per un totale pari quindi allo 0.13% su base annua: sarebbe (di gran lunga) il tasso più vantaggioso cui l'Italia possa aspirare.
Lo spread italiano, infatti, sta proprio lì a dimostrare che ogni forma alternativa di rifinanziamento del nostro debito tramite vendita sul mercato di titoli di stato comporterebbe il pagamento di tassi di interesse di un'ordine di grandezza superiori a quelli della ECCL. Agli attuali tassi, infatti, l'accesso all'intero credito messoci a disposizione dalla ECCL porterebbe a un risparmio (rispetto a un equivalente importo ottenuto attraverso la vendita di BTP) pari a ben cinque miliardi sui dieci anni. Per non parlare della oggettiva difficoltà di piazzare sul mercato altri 35 miliardi in BTP: la Banca Centrale Europea (BCE) nel corso del 2020 ha già acquistato un volume esorbitante dei nostri titoli di Stato, e non si può pensare che un tale soccorso prestatoci dalla BCE possa protrarsi indefinitamente. Quanto al collocamento dei titoli sul mercato reale, invece, basti dire che i celebrati BTP Futura hanno recentemente chiuso con ordini per un totale di sei miliardi, appena un sesto della ECCL, nonostante l'appetibile tasso di rendimento garantito tra l'1.15% e l'1.45% (ovvero, circa 780 milioni di euro a nostro carico sui dieci anni contro i 60 milioni che ci sarebbe costato il medesimo importo attraverso la ECCL). Infine, fatto assai rilevante, la ECCL è a tasso fisso nei dieci anni, a prescindere quindi dalle bizze dei mercati e al sicuro da probabili future levitazioni dello spread BTP/Bund.
I detrattori del "MES" obiettano però che i mercati reagirebbero negativamente allo stigma causato dall'attivazione della ECCL, poiché questa rappresenterebbe un'implicita certificazione dello stato di difficoltà dell'economia italiana (come se gli operatori del mercato non fossero già perfettamente a conoscenza delle condizioni della nostra economia e del rating dei nostri titoli). Nonostante l'innegabile rischio di qualche marginale fluttuazione iniziale dei mercati causata da inevitabili dinamiche di natura puramente speculativa, questo argomento è essenzialmente fallace, come ha spiegato Nicola Giammarioli (Segretario Generale del MES) in un'intervista a Repubblica dello scorso luglio: se il nostro Paese ricorresse alla ECCL gli investitori si sentirebbero più tutelati, consapevoli che essa "non è un soccorso lanciato (...) per rimediare a scelte sbagliate di un governo" bensì "per rispondere alla pandemia, fenomeno del quale nessuno ha colpa". Il rating AAA di cui godono i crediti del MES assolverebbe poi ad un ruolo di garanzia agli occhi dei mercati medesimi. È marchiano che quanti paventano oggi lo stigma non realizzino che, secondo la loro stessa logica, uno stigma ancora più marcato dovrebbe dunque affliggere quei Paesi che dovessero un domani ricorrere ai denari del "recovery fund".
In definitiva, l'unico reale motivo per non approfittare della ECCL sarebbe da cercare nell'eventuale mancanza di una fondata esigenza di spese legate alla sanità in regime di pandemia: addossarsi un ulteriore debito, seppure con un tasso d'interesse così contenuto, sarebbe infatti inutile e controproducente se poi il credito ottenuto non potesse essere concretamente utilizzato. Premesso che, come abbiamo visto, il credito verrebbe comunque erogato dal MES solo a fronte dell'approvazione di un preciso piano di specifici interventi, basta fermarsi a riflettere anche per un solo istante per realizzare che l'Italia economicamente flagellata dalla pandemia ha oggettivamente bisogno di quante più risorse sanitarie possibile (personale, attrezzature, respiratori, edilizia ospedaliera, dispositivi di protezione, ricerca scientifica, eccetera eccetera), anche e soprattutto nell'evenienza di nuove ondate pandemiche di SARS-CoV-2 o altro virus prossimo venturo (chi avesse dei dubbi in merito si chieda perché la Protezione Civile stia proseguendo la sua raccolta di donazioni per l'emergenza sanitaria COVID-19 della quale, in questi stessi giorni, circola insistentemente lo spot pubblicitario. Analoghe iniziative a favore della sanità italiana in emergenza COVID-19 sono in essere da parte di OMS, Croce Rossa Italiana, UNICEF, ecc.).
Riassumendo, appurato che la ECCL è di fatto molto conveniente e che la nostra sanità necessita realmente di finanziamenti, il ricorso al MES consentirebbe di liberare risorse altrimenti già destinate alla sanità dalle recenti (e prossime) manovre finanziarie o addirittura da certi erigendi progetti finalizzati ad accattivarsi fette o fettine di "recovery fund”, rendendo tali risorse disponibili ad altri comparti con conseguente beneficio per l'intero sistema-Italia.
La contrapposizione fasulla tra “MES” e "recovery fund"
Gli ideologi del no-MES, alla testa di intere legioni di sprovveduti, sdegnano la ECCL (senza sapere che si chiama così) in favore del'impropriamente detto "recovery fund", essendo questo ultimo di portata ben superiore e comprensivo di una sostanziosa frazione di contributi a fondo perduto. La contrapposizione tra le due linee di credito è però solo apparente e, in ultima analisi, fasulla. Si tratta infatti di due strumenti con tempi, modi e funzioni diverse che la tanto disprezzata Europa ci mette a disposizione come parte di un pacchetto ampio di interventi legato all'emergenza pandemica (si veda, a questo proposito, il post che scrissi in merito). In particolare, il MES ci consentirebbe di ottenere i denari subito, mentre di quelli del "recovery fund" non si vedrà che qualche briciola prima del 2021 inoltrato. Il MES non pone condizioni, il “recovery fund” sarà invece caratterizzato da marcate condizionalità e da uno stretto monitoraggio da parte del Paesi membri del Consiglio Europeo. Il MES è pronto ad accreditarci l'intero importo previsto, se solo lo vogliamo, con il preciso scopo di fronteggiare l'emergenza sanitaria; il "recovery fund", al contrario, si riserverà di finanziare (o meno) specifici e dettagliati progetti di riforme e sviluppo per gli anni a venire: cercare di far rientrare gli strascichi dell'emergenza sanitaria pandemica tra i progetti da finanziare con il "recovery fund" significherebbe contravvenire allo spirito e alle regole di questo ultimo, distraendo al contempo cospicue risorse fondamentali per il futuro del Paese in favore di interventi emergenziali contingenti e circoscritti. Infine, difficilmente i tassi di interesse dei prestiti erogati attraverso il "recovery fund" potranno essere tanto modesti quanto quelli della ECCL.
Perché allora non si attiva la ECCL dal MES? La verità, tutta politica, sta "nel MES"
Appurato che l'Italia deve (e dovrà a lungo) sostenere ingenti spese sanitarie legate alla pandemia, e che molte altre, di indirette, avrebbe già dovuto metterne in conto se fosse stata fatta una pianificazione che guardasse oltre l'orizzonte ristretto di chi vive alla giornata sperando che "tutto andrà bene", gli ingenui cultori del buon governo (piccola ma indomita schiera di cui anch’io faccio parte) faticheranno a trovare motivi fondati per non chiedere l'utilizzo, almeno parziale, della ECCL. Assai meno ingenui, i principali attori della nostra scena politica nutrono però in proposito idee affatto diverse.
La maggioranza dei pentastellati (ma lo stesso vale per gli ultra-sovranisti afferenti ad altri partiti) è contraria ideologicamente al "MES", non sa generalmente distinguere tra il MES e la ECCL, teme genuinamente trappole nascoste tra le pieghe del regolamento e paventa le "condizionalità" e la conseguente cessione all'Europa di parte della sovranità nazionale. In particolare, essa osteggia quella clausola che impone il rispetto dei vincoli finanziari e fiscali concordati illo tempore con gli altri Stati membri, perché essa vuole sentirsi libera di violarli non appena se ne presenti l'opportunità. Un'altra parte del M5S ha invece ormai capito che il ricorso alla ECCL sarebbe cosa buona e giusta, ma dopo che hai costruito lungamente il tuo consenso popolare ergendo barricate contro il MES, dipingendolo come il nemico pubblico numero uno, diventa difficile fare retromarcia senza perderci la faccia (e magari i pochi voti rimasti). I possibilisti come Di Maio prendono quindi tempo ripetendo all’infinito l'eterno mantra del "bisogna prima vedere le carte". Carte che, come abbiamo osservato, stanno lì da mesi, nero su bianco, nell'attesa che qualcuno si prenda la briga di andarsele a leggere.
Nelle destre sovraniste e antieuropeiste l'avversione nei confronti del MES sta, più che nella presunta cessione di sovranità di cui ho appena accennato (che è però un eccellente argomento da comizio), nel legame a lungo termine con l'Europa che il ricorso alla ECCL comporterebbe. Il retropensiero quasi sempre sottaciuto, ovvero il sogno nel cassetto, è quello di una "Italexit", la possibile uscita dall'Europa o quantomeno dall'eurozona. Accedere alla ECCL significherebbe, nella sostanza, impegnarsi a rimanere nella UE per i dieci anni successivi (impensabile infatti il riuscire a restituire anticipatamente il prestito, considerato il nostro quadro economico), il che renderebbe impraticabile ogni eventuale progetto di abbandono dell’Europa una volta che, vinte le elezioni, le destre sovraniste si dovessero ritrovare alla guida del Paese. Meglio, dunque, caldeggiare il rifinanziamento del debito pubblico tramite aste di BTP o attraverso vendite di titoli di stato alla BCE (BCE che anche in caso di Italexit potrebbe limitarsi ad operare come un normale investitore, provando cioè a rivenderli oppure attendendone la scadenza naturale per poi capitalizzare con gli interessi), nonostante i tassi per noi assai più gravosi di quelli della ECCL. Meglio ancora, arraffare la quota a perdere del "recovery fund" che, una volta ottenuta, non dovrebbe mai essere restituita e non preverrebbe successive uscite dall'Unione (nome in codice della missione: prendi i soldi e scappa).
Al Conte, che ha a cuore in primis se stesso, i soldi della ECCL fanno gola ormai da tempo, ma prima di agire (non proprio il suo lato forte) c'ha delle belle gatte da pelare. Innanzitutto non può permettersi scontri frontali con i suoi soci di maggioranza (M5S), proprio coloro che lo hanno insediato agli albori del governo gialloverde. Per questo egli ha pazientemente atteso che elezioni e referendum fossero alle spalle, e ora attende trepidante l'esito degli "stati generali" del M5S dove i grillini rischiano la spaccatura, spaccatura cui anche il braccio di ferro sul MES potrebbe concorrere. In secondo luogo il ricorso alla ECCL ridimensionerebbe, quantomeno mediaticamente, l'aura splendente del "recovery fund" di cui il Conte si è indebitamente ammantato millantandone la paternità. Infine (e soprattutto), per ottenere i soldi della ECCL è necessario avere delle giustificate esigenze di spesa sanitaria, ovvero delle idee su come spenderli in modo appropriato. E qui siamo alle solite: l'Italia non riesce mai a spendere i finanziamenti europei e con la ECCL si rischierebbe la stessa fine. Fare proclami è più facile che progettare concretamente, e mostrarsi nudi alla piazza non è in genere un buon volano di consenso. Si sa mai che poi, retroattivamente, qualcheduno non si accorga che, nel corso di mesi lasciati colpevolmente scorrere da marzo a oggi come se il tempo fosse una risorsa inesauribile, con la ECCL avremmo potuto coprire tutte le spese di carattere sanitario indiretto legate alla ripresa delle attività scolastiche in piena pandemia (igienizzanti, mascherine, termoscanner, digitalizzazione di istituti e famiglie, edilizia scolastica).
Temo che nei partiti del centrosinistra, a partire dal PD, i più siano a favore della ECCL non tanto per motivi di merito quanto per motivazioni spurie diametralmente opposte alle precedenti: affermare un'ideologia antitetica rispetto a quella dei propri avversari, marcare un punto a proprio favore nel braccio di ferro intragovernativo con i pentastellati ed uno extra-governativo contro le opposizioni, evitare il rischio che alla prossima vittoria della destra alle politiche si incorra in un reale rischio Italexit. In questi giorni circolano voci riguardanti la disponibilità di Zingaretti ad attendere dicembre per rimettere sul tavolo la questione MES: sarebbe la conferma del mio timore, dato che per allora saremo di nuovo in piena emergenza e non ci sarà più tempo per pianificare interventi solidi in campo sanitario, ma solo per intervenire d’urgenza (in pratica, per portare i rifornimenti quotidiani in trincea). Non proprio le politiche sanitarie indirette di ampio respiro che ci aspetteremmo fossero perorate da chi nella ECCL ci credesse davvero, insomma. Maggiormente incentrate su oggettivi motivi di merito mi sembrano piuttosto essere le posizioni pro-ECCL espresse da Più Europa (quasi per costituzione) e da - udite, udite! - Forza Italia (quest'ultima certo per pragmatismo, non già per una presunta ideologia che si tradurrebbe altrimenti in un deliberato sgambetto alla medesima coalizione di cui essa stessa, volente o nolente, fa parte).
(Fotografia di Alessandra Daprà, 2020)