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Il famoso lockdown degli anziani in Italia (un divertissement)

Circola in questi giorni l'idea di mettere in lockdown solo gli anziani, per il bene loro e soprattutto del Paese. Essa è stata perorata fino all'ultimo da alcune Regioni sedute al tavolo di lavoro sul DPCM emergenziale recentemente emanato da Giuseppe Conte. Il tweet battuto in proposito dal presidente della Liguria Giovanni Toti, tweet disperatamente rettificato dallo stesso Toti nelle ore successive alla sua pubblicazione e imputato a un errore di un collaboratore, a me pare almeno intellettualmente onesto: esso, tra l'altro, definisce gli anziani "persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese (...)". Finché c’è il virus, insomma, i vecchi vengano costretti in casa. Chi lavora, invece, continui a produrre ricchezza come se la pandemia manco ci fosse (e, magari, tutti a farsi uno spritz prima di cena). Il tweet ha i meriti di essere terrificamente candido e di non abusare della retorica del "per il loro bene" che h
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La verità sta nel MES

A circa due mesi dall'accordo UE sul "recovery fund", diradatisi ormai i fumi della conseguente sbornia (allegra per alcuni e triste per altri, come sempre accade) e nella lunga attesa che se ne veda la concretizzazione sonante, converrà concentrarsi sul meccanismo europeo di stabilità (MES), già fondo salva-stati. Se il dibattito attorno al "recovery fund" sarà il tormentone del nostro autunno post-elettorale, quello sul MES sarà infatti quantomeno un tormentino.  Del MES si è sentito parlare moltissimo sin dall'insorgere della pandemia, quasi sempre a vanvera, con toni contrastanti ma altrettanto ideologizzati da parte delle avverse fazioni politiche. Per capirci qualcosa è necessario chiedersi cosa esattamente esso sia, a quali reali condizioni esso sia erogato, quale ne sia l'effettiva entità, e se l'accedervi sia o meno conveniente all'interesse del Paese. In seconda battuta è opportuno anche (e soprattutto) chiedersi quali siano le vere mot

Catalogo minimo degli aiuti europei all'Italia in tempo di pandemia

Scrivo questo breve pezzo su gentile richiesta, richiesta cui non voglio sottrarmi. Sono europeista convinto e questa Europa non mi piace, tuttavia bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. Spero dunque che quanto segue possa contribuire a fare da "dose di richiamo"  di quel particolare vaccino che, da tempo ormai, si è reso necessario per fronteggiare il pandemico virus del sovranismo. Il frastuono mediatico sollevatosi attorno alla COVID-19, tanto assordante quanto sterile, non ci ha infatti impedito di osservare che il medesimo sovranista che fino a ieri sbraitava furente contro l'Europa (la trappola del MES, l'ombra della troika, i soffocanti lacci europei perfidamente volti a soffocare l'italico slancio) oggi, quasi per contrappasso, si lagna capricciosamente perché quella stessa Europa, a suo dire, non si starebbe precipitando in nostro soccorso con l’ardore (ovvero, il conquibus ) stabilito dalle eterne "leggi" non scritte della solidarietà in

Un'aria fosca spira sui media italiani. Che sia foriera di tempesta?

Siamo tutti in attesa del pronunciamento definitivo della Camera dei Deputati sull'emendamento della Lega che prevede un finanziamento ponte volto a mantenere operativa Radio Radicale per l'anno in corso. Fino a prova contraria, con l'approvazione avvenuta una settimana fa al Senato della mozione di Lega e M5S che garantirebbe la copertura triennale delle sole spese di digitalizzazione dell'Archivio di interesse storico della Radio, sembra che stiano davvero svanendo le residue speranze degli italiani di poter continuare ad ascoltare le dirette dei lavori parlamentari. A me pare che questa sia solo una tappa di un preoccupante percorso di adulterazione del nostro sistema mass-mediatico, un percorso che solleva molteplici interrogativi in merito alla completezza e alla trasparenza dell'informazione. Requisiti, questi ultimi, fondamentali per la vita democratica del Paese. Onde evitare di essere tacciato di eccessivo pessimismo mi limiterò di seguito a fare alcuni r

Europee 2019: il referendum su Salvini e le illusioni della democrazia

A volte il guardare alle cose per come realmente stanno risulta molto doloroso, ci costringe a confrontarci con i nostri pregiudizi e a ridimensionare gli slanci idealistici (o ideologici, a seconda dei casi). Potrebbe essere il caso delle elezioni Europee di oggi. Taluni ritengono infatti di essere andati a votare per incidere sulla futura composizione del Parlamento Europeo, magari nella speranza di cambiarne gli assetti e il ruolo politico, oltre che economico, compiendo così un altro passo lungo il lento cammino che porta alla costruzione dell'Europa che verrà. Mi spiace dover deludere tutti costoro, ma non è così. Per due semplici e incontrovertibili motivi. Il primo è crudamente matematico e segue dalla magnificazione che la scala continentale conferisce ad un problema insito nelle moderne democrazie: all'atto pratico il voto del singolo elettore in queste europee non conta. Se ritenete che ciò non sia del tutto vero, che per poco che sia pur sempre un poco conti, be’

Il musico dilettante Tomaso Albinoni, morto tre volte

Tomaso Albinoni nacque a Venezia nel 1671 e ivi, nel 1751, morì; e fu per lui la prima volta. In vita viaggiò pochissimo, e pochissimo si espose al pubblico: ambo le cose non erano nelle sue corde, e l'essere membro di una famiglia assai facoltosa non lo indusse a farle per forza. Nell'intestazione della sua opera prima (12 Sonate a tre, del 1694) si autodefinì infatti " musico di violino dilettante veneto ", laddove il termine "dilettante" designava, nell'accezione allora in voga, non già un cialtrone (come oggi si intenderebbe) bensì quanti facesse per puro diletto. Talentuoso nel canto, oltre che nello strumento, si dedicò soprattutto alla composizione. Così come sarebbe accaduto un secolo più tardi per Rossini, la conoscenza in prima persona della voce umana gli rese facile il riuscire eccellentemente nell'opera in musica, oltre che nelle cantate e nei lirismi di cui sono ricche le sue pagine strumentali. Per i teatri di Venezia scrisse almeno

Ma quale mercato, bellezza?

Il 9 aprile scorso il Fatto Quotidiano ha pubblicato una lettera di Maurizio Burattini dal titolo “ E' il mercato dei mass-media, cara Radio Radicale ”. Non essendo per svariati motivi un lettore de Il Fatto, io l'ho sentita leggere dalla bella voce di Roberta Jannuzzi al microfono di Stampa e Regime (la si può riascoltare in qualsiasi momento dal sito web di Radio Radicale: si trova al minuto 21'13'' dell'edizione di quello stesso giorno). La lettera è risultata fortemente rappresentativa di un’opinione diffusasi in merito al recente taglio dei finanziamenti pubblici alla radio summenzionata, taglio deciso dal governo per mano del suo sottosegretario con delega all’editoria, lo stesso Vito Crimi che quell’autentico gigante del giornalismo italiano che è stato Massimo Bordin aveva ribattezzato il “gerarca minore”. Lettera così rappresentativa che un paio di giorni fa nientemeno che Marco Travaglio l’ha sostanzialmente fatta propria e, apparentemente a paro